Il lago di Pilato

... ormai meglio chiamarli "i laghi di Pilato"
Anche alla fine di questa stagione primaverile strana, piovosa, nevosa come poche altre, il lago di Pilato in fase di scongelamento è lontano dal tornare ad avere la sua forma ad occhiali e soprattutto a formare un unico bacino. Rimane in ogni caso uno scrigno unico nel suo genere negli Appennini, adatto ad ogni stagione ed ogni condizione.


Non salivo al lago di Pilato da Foce da ben undici anni, sono tanti, niente in confronto agli almeno venticinque, forse trenta dell’indimenticabile prima volta, quando ad accompagnarmi c’era mio padre, momento che si è fermato nella mia memoria come se il tempo non fosse passato. Da quella volta ho iniziato ad allargare gli orizzonti su tutti gli Appennini e non c’è mai stato tempo per ritornare a percorrere questa lunga valle, il lago l’ho raggiunto un paio di volte dalla sella delle Ciaule attraverso le roccette, da Forca Viola provenendo da Castelluccio, l’ho ammirato dalle vette che lo sovrastano, ma quelle due occasioni sono state le uniche che mi hanno visto sui piani della Gardosa e sulla lunga valle del Lago. La complicità dei Sibillini che sono diventati montagne turistiche e affollatisime ha fatto il resto, il cuore mi portava a pensare al lago più volte ma è sempre mancata la spinta per tornarci ripartendo da Foce. Questa volta è stato diverso, quando Marina ha suggerito di ritornare al lago partendo da Foce non ho visto il percorso nella mia mente, c’era il teatro di creste e vette che circondano il lago, l’imponente scoglio del Pizzo del Diavolo, c’era Foce, ma mancava tutto ciò che c’era nel mezzo, come se i sei chilometri tra la partenza e l’arrivo fossero privi di ricordi e dettagli. Era scoccata l’ora di tornarci. Raggiungere Foce da casa è una passeggiata, in quarantacinque minuti siamo a parcheggiare all’imbocco della valle dei Piani della Gardosa, sono le 8 della mattina, Foce è ancora deserta ma le auto parcheggiate confermano quanto queste montagne siano frequentate. Il piano della Gardosa è attraversato da una ampia carrareccia, per fortuna inibita al traffico, a sinistra si alza subito il Banditello, le sue ripidissime praterie di un verde incredibile si vanno perdono nelle nuvole che ristagnano al livello di cresta; sulla destra si alzano ancor più ripidi versanti ma boscosi, sono i contrafforti del Pian delle Cavalle prima e dell’Argentella dopo, tre fossi formano profonde ferite sul versante, quasi inaccessibili per via della pendenza e del terreno franoso, il primo, il fosso Mozzacarne lascia intravedere le praterie e la dorsale del Pian delle Cavalle, i secondi due, in ordine il fosso dell’Argentella e il fosso del Miracolo, si perdono sul versante massiccio dell’Argentella. Il piano della Gardosa dopo circa un chilometro e mezzo si stringe, la carrareccia entra in una bassa faggeta, diventa ben presto sentiero e dove sembra non esserci passaggio inizia ad inerpicarsi all’interno di uno stretto quanto ripido vallone, sono le famose Svolte, fino a poco tempo fa chiuse agli escursionisti per alto rischio di caduta massi. Trenta minuti di salita ripida, senza sosta, su irti tornanti, da cui l’appellativo “svolte”, alcuni scalettati e altri sfruttando il più possibile traversi anche a tratti incerti, solo guardando indietro si intuisce quanto sia ripido e stretto il vallone; quando si raggiunge il punto più stretto, tra due roccioni monolitici, pendici dell’Argentella a destra e del Banditello a sinistra, si è quasi fuori, lentamente il vallone si allarga, ancora qualche traccia di rocce franate e quando si ritorna in piano sotto una calotta verdeggiante di giovani faggi gli spazi larghi e la luce oltre gli ultimi alberi fanno intuire già le aperture sulla valle del Lago. Un ambiente alpino ci aspetta, il bosco finisce e lascia spazio ad un mare di Doronici, il colore giallo dei margheritoni in contrasto col fogliame scuro sono la prima suggestione degli ambienti della “montagna alta”, i versanti intorno salgono ripidi e si perdono nelle nuvole basse e scure che continuano a ristagnare sulle linee di cresta. Il sentiero avanza sinuoso all’interno dei pratoni puntellati di giallo, qualche centinaio di metri e un primo salto importante alza la quota della valle e restituisce orizzonti più larghi ma sempre contrastati dalla bassa nuvolaglia. Si intuiscono i ruvidi roccioni di Quarto San Lorenzo e di Cima dell’Osservatorio, le nuvole ora li scoprono e poi se li riprendono, i ghiaioni che scendono dall’alto sono maestosi e chiara è la traccia che li attraversa col sentiero che proviene da Forca Viola. Dello scoglio del Lago solo qualche avvisaglia, non era proprio la giornata migliore per venire al lago ma così non doveva essere, il meteo ci ha traditi. Sempre molto evidente il sentiero sale con continuità, si incontrano ancora un paio di salti di quota modesti fino ad arrivare in prossimità del roccione dolomitico di punta del Diavolo, affascinante quanto repulsivo, oggi con le nuvole che lo nascondono parzialmente ancora più affascinante. La bellissima conca dove termina la valle e alloggia il laghetto che ancora non si intuisce ci si apre davanti, semi innevata, rimane sempre e in qualsiasi condizione del meteo uno dei luoghi più affascinanti dell’Appennino. Eccolo il primo dei due laghetti (+3 ore), ormai anche solo pensarli uniti è una utopia; in veste post invernale, è ancora dominato da piccoli iceberg che galleggiano frantumati, la luce non penetra tra le nuvole, non viene esaltata la limpidezza dell’acqua e non vengono restituiti quei colori intensi tipici di questa stagione e che speravamo di poter vedere. Come al solito ci sono molti escursionisti intorno al lago, in qualsiasi periodo dell’anno e in qualsiasi momento della giornata è quasi impossibile non trovarli; ci sistemiamo su due roccioni, fuori dalla zona vietata al calpestio, tutti parlano piano come per rispettare questo gioiello della natura, le nuvole a tratti si alzano ma subito a folate ritornano nebbiose regalando luce e buio, momenti sempre diversi e sempre intensi. Ci godiamo la trasparenza dell’acqua, i giochi di luce col ghiaccio sporco in superficie e candido un pelo sotto, allunghiamo lo sguardo sulle roccette, alcuni escursionisti le stanno risalendo, ci sentiamo oppressi dalla presenza incombente di Punta del Diavolo che si alza repentino alle nostre spalle e dal grande circolo di ghiaia e roccia che chiude la valle. Intimo se pur non siamo soli, maestoso e unico questo scrigno. Ci muoviamo per andare a vedere il secondo laghetto, quasi cento metri più a monte, l’istmo che li separa si alza forse di una decina di metri, è importante, non ho speranze che si riescano di nuovo a vederli uniti quest’anno. Intorno al laghetto a monte, più rotondo e regolare e più invaso da ghiaccio e neve c’è meno gente, i colori sono ancora più belli, più intensi, probabilmente grazie a momenti di luce che riesce a tratti a filtrare tra le nuvole. Rimaniamo poco lontani dalle rive, fermi a guardarci intorno e sicuri che ci poteremo dietro solo emozioni e pochi ricordi dei dettagli, va bene così, ci siamo abituati. Da valle arrivano nuvole corsiere, spariscono le roccette, si appiattano sui laghi, e sembra strano ma contribuisco a rendere ancora più fascinoso e intimo questo scrigno. Torniamo sui nostri passi, e superato l’istmo che li divide le nuvole come sono venute spariscono, qualche raggio di luce filtra, la dorsale dalla punta del lago verso Punta Viola viene improvvisamente allo scoperto regalando ampi squarci di azzurro; contrasti potenti, il lago per quanto non direttamente illuminato dal sole prende riflessi azzurri e grigi, di quel grigio che solo il ghiaccio sa restituire. Cerco di rubarmi più immagini possibili con la speranza di rivivere a casa questi momenti. Il gioco delle nuvole in cresta è stupendo, nasconde e scopre ed ogni momento è diverso dal precedente, da non perdere un solo istante perché nel breve momento dell’entusiasmo tutto si ricopre con la stessa velocità con cui si è scoperto. Uno, due, dieci sguardi indietro fin tanto che il laghetto scompare dietro le sponde pietrose, l’arrivederci è doloroso come sempre e come sempre arriva troppo veloce, e come sempre è seguito dalla promessa di tornarci. Il lato sinistro della valle è illuminato, i ghiaioni che scendono dalla cima dell’Osservatorio sono maestosi, la linea del sentiero che sale gradualmente a Forca Viola lo taglia di netto e gli escursionisti che lo percorrono si perdono in così tanta vastità; l’occhio non lo percepisce, solo il confronto con le dimensioni degli umani ne danno un senso tangibile. Sulla stessa via del ritorno filiamo veloci, alle prime ore del pomeriggio sono in tanti coloro che continuano a salire, li incontreremo fino alle svolte!!! In discesa sono di più facile lettura le flebili tracce che salgono al Banditello, così flebili che mi pare di capire trattarsi di sentieri ormai abbandonati. Con gli orizzonti sempre coperti dalle nuvole basse era la valle l’unica attrattiva; mi era mancata e devo dire che continuava a mancarmi, privato come mi sentivo della totalità dei dettagli. Raggiungiamo l’imbocco delle svolte, la discesa è guardinga per via della pendenza e del terreno a tratti scivoloso e sconnesso. Una volta usciti molto lungo ci è sembrato il tratto della valle della Gardosa, ma quando raggiungiamo Foce (+2,45 ore) mi manca già tutto come se non ci fossi salito affatto. Quanti ricordi e quanti significati questa escursione; la mia prima vera escursione quando sulle carte IGM cercavo il lago di Pilato, l’unico naturale della mia regione, ammantato di leggende e letteratura, mio padre che mi ci accompagnò insieme a mio fratello, da allora ripetuto solo con Marina una decina di anni fa e poi oggi. Il lago, come amo sempre dire, forse l’unico posto di montagna dove il mio cuore si placa e si sente a casa, un amore, una passione, di cui ho parlato e provato a trasmettere. E mi sembra giusto con oggi doverlo caricare di ancora più significato, deve diventare il punto esclamativo della mia bella avventura con Aria Sottile prima e Quelli di Aria Sottile dopo; con questa di oggi si chiude questo bellissimo capitolo della mia vita dove parlare di montagna, raccontare con passione delle mie scorrerie era un appuntamento per me e per i pochi amici che mi hanno voluto seguire fino alla fine. Mi sembra giusto chiudere questo romantico e bel capitolo col mio laghetto. Grazie di cuore a chi ha condiviso con me fino alla fine questo gioco, Giorgio, e grazie a chiunque ci si sia avvicinato per un periodo più o meno lungo. E’ stato bello! Bellissimo!!